Non riuscivano a risolversi a buttarlo via. Per diciotto anni era rimasto seduto ritto accanto alla credenza, con le orecchie appena sollevate, come a voler dimostrare attenzione ma non ancora allarme, le zampe composte e gli occhi neri, lucidi di porcellana. Senza un guaito di disapprovazione, per diciotto Natali si era lasciato mettere in testa il tradizionale berretto bianco e rosso. Giorno dopo giorno aveva accolto paziente le pacche sulla testa, le dita negli occhi di curiosi bambini di passaggio, lo straccio impietoso di un susseguirsi di prosaiche donne delle pulizie. Non aveva neppure mai dato cenno di risentimento quando, all’arrivo degli ospiti, la vergogna per quel tocco di kitsch che lui inequivocabilmente rappresentava li induceva a spingerlo verso il muro, nascondendolo alla vista. Mai una volta che gliela avesse fatta pagare, che avesse voltato il muso all’avvicinarsi delle loro braccia tese.
Come potevano semplicemente prenderlo e buttarlo via?
Gli avevano salvato la zampa destra, dopo quel brutto scontro con l’aspirapolvere. Da anni ormai la esibiva con orgoglio tenuta insieme con lo scotch (l’idea del gesso inizialmente era stata accolta con favore, ma poi, con un guizzo di raro realismo, l’avevano accantonata) come a dire: “sono un cane visto? Mica un cavallo che se si azzoppa finisce al mattatoio, sono il migliore amico dell’uomo io!”. Ma dall’ultimo frontale con il seggiolone della nipotina aveva riportato un danno davvero irreparabile, non era proprio possibile proseguire oltre sulla strada del rappezzo.
Così una notte di settembre, con i tigli che oscuravano la luce dei lampioni, dovettero decidersi e, poichè l’idea del "Rifugio del cane" era parsa eccessiva, si diressero con i suoi cocci fra le braccia verso il cassonetto. Stavano per sollevare il coperchio quando nel buio si udì forte e chiaro un latrato. So che qualcuno stenterà a figurarselo, ma sobbalzarono e il cuore saltò loro in gola quando guardandosi intorno non videro nessuno. E so che qualcuno stenterà a figurarselo ma risero, rendendosi conto che stavano per piangere.
uh!
RispondiEliminami hanno commosso queste tue parole
Ho provato lo stesso tipo di malinconia quando ho dovuto constatare che una delle "prosaiche donne delle pulizie", susseguitesi intorno al mio comò e alla relativa polvere, ha gambizzato e decapitato una ballerina di limoges che possedevo dall'età di dieci anni.
RispondiEliminaNon ho mai amato la porcellana. Neppure particolarmente le statuine di ballerine. Però di questa ho recuperato i cocci, e sto ancora cercando il modo di ripararla.
Per gli artisti e i bambini tutti sono vivi.
RispondiElimina- Kamuischiro benvenuta!
RispondiElimina- Agnes, per fortuna ognuno di noi ha i suoi cocci nell'armadio! senti... pasta di sale, no? ;)
- Giusto Saette. Per chi non è nè un bambino nè un artista è un problema?? :)
buona giornata
Una fiaba dolcemente malinconica, rischiarata dalla luce morbida di questri giorni di fine estate...
RispondiEliminaBuona giornata anche a te, Prishilla.
Pongo non avrebbe poututo desiderare epitaffio più dolce e sincero!
RispondiEliminaMi ha ricordato (anche se lo stile e la storia sono diversi) quel racconto di Heinrich Boll sulla storia di una tazzina (anche quello molto delicato e grazioso).
RispondiEliminaPrish...e come le trattengo le lacrime ?!??? Ho il cuore tenero...
RispondiEliminaQuesto è quel che direi un gran bel post-racconto.
RispondiEliminaPer il cane mi dispiace,e quel latrato finale convalida la mia teoria dell'autosuggestione per la quale ogni pezzo di materia è vivente a suo modo. Sennò perche li rimpiangiamo ? non si tratta solo di una questione di ricordi affettivi, ma pure di autosuggestione.
ma che belle parole *O* ha ragyone quello che ha detto che per gli artisti tutte le cose sono vive, anche io la penso così!!! bravyssyma!*O*
RispondiEliminail cassonetto come forma di eutanasia per gli oggetti particolarmente cari...!?!
RispondiEliminaA me ricorda Andersen. C'è la stessa capacità di animare un oggetto
RispondiEliminadragor (journal intime)