martedì 25 gennaio 2011

Accanto


Si era seduta accanto a lui. Non di fronte, accanto, (aveva avuto cura di spostarsi, dopo aver servito il caffè) perchè il suo sguardo potesse vagare verso l'orizzonte senza trovare per forza lo specchio degli occhi di lei. Si era seduta poco distante però, perchè cercare il punto fermo del suo volto non gli risultasse troppo complicato, o innaturale. Avrebbe potuto farlo fingendo che fosse un casuale impercettibile movimento della testa. Non ci sarebbe stata nessuna ammissione, se non lo avesse desiderato lui, nessuna esplicita richiesta di aiuto o di approvazione. Per questo per  tutta la cena aveva fatto in modo di fargli intendere che, qualora ne avesse avuto bisogno, nel punto fermo del suo volto avrebbe trovato generi di conforto, ad esempio un sorriso o un silente incoraggiamento.  Un po' come un maratoneta al banchetto del rifornimento della sua squadra. E come un maratoneta ecco che lui ora parte, lungo i sentieri che la vita e la morte gli hanno tracciato dentro. E lei è lì, a guardare ansimante uno scorcio mozzafiato, ad indicare senza parere una prospettiva, un bivio. Ad accogliere il suo arrivo in un modo che lui non saprebbe proprio dire se era sempre stata lì o se ci erano arrivati insieme.

Poi ad un certo punto si è fatto molto tardi, e lui va a dormire e lei dimentica.

E' essenziale che lei dimentichi. Nessuno ti porterebbe con se, lungo i sentieri che la vita e la morte ti traccia dentro, se tu non dimenticassi. Una volta lei aveva dimenticato di dimenticare. E lui non era più tornato.

6 commenti:

  1. C'è qualcosa che resta al termine della lettura... come un senso di vertigine che ondeggia tra detto e taciuto, sapere e fingere di ignorare, conoscere e dimenticare. Percepisco come una tensione che non si scioglie, che resta sospesa, un dolore da cui ci si deve difendere per non soccombere...

    Un brano sconvolgente, davvero. Però bellissimo.

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  2. Pim, Grazie. Non pensavo che quello che ho scritto potesse risultare, alla lettura, così intenso come dici.

    Ti confesso che il tuo Tacqui (http://pim1.typepad.com/scrivere_i_risvolti/2011/01/un-fiore-morto.html) ha un ha un po' contribuito a farmi venir voglia di scriverlo. Mi ha colpito, e forse per una ragione non tanto dissimile il mio post ha colpito te. 

    Credo che sia un bene. Dunque grazie e buona giornata

    Prish

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  3. Buono. Come il panino col lampredotto al Mercato San Lorenzo di Firenze, completo di un bicchiere di vino rosso.

    Dimenticare e impazzire, in un certo senso, proprio quel senso che indichi tu, vogliono dire la stessa cosa, vogliono tacere lo stesso dolore.

    Pasquale

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  4. Grazie Pasquale, un paragone decisamente lusinghiero!

    Dimenticare e impazzire... Si, salvo che a volte si dimentica per gli altri, mentre impazzire... credo che solitamente si impazzisca per se stessi...

    Prish

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  5. mi verrebbe da dire perfettamente compiuto

    giusta misura, e pur nella brevità, è davvero una storia, per quello che dice e per quello che fa immaginare

    hi

    Mont

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  6. Sì, Mont, è una storia. forse anche la storia di una storia. e di chi la ascolta. dunque anche quella di voi che con pazienza l'avete letta.

    Quindi, grazie.

    Prish

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