lunedì 24 ottobre 2011

Super Pippo


Oggi, fra Rogoredo e Lambrate, c’è voglia di parlar di moto.
No, non voglio fare la retorica dello sport, né, meno che mai, quella della morte del bravo ragazzo di talento.
Ho voglia, piuttosto, di raccontare di quando mi ha preso il gusto di guardare le gare del motomondiale e di quelle domeniche dei miei vent’anni e poco più, sul divano di quelli che sarebbero diventati i miei suoceri, con la schiena appoggiata al Suo torace e la ciotola delle caramelle mou sul tavolino di vetro e l’immagine di Lui, a quattordici anni, appesa sopra al pianoforte, con la moto da cross e il casco e le lentiggini e la voglia di vincere, tutto in tre riquadri a colori pastello.
Sua mamma, al di là della porta, cucinava manicaretti per il pranzo e la nonna leggeva la gazzetta con la lente d’ingrandimento. Lui mi insegnava i nomi dei piloti e le storie e la mescola morbida e le slick. Facevo il tifo per Harada, ma più di tutto per Lucchi, che arrivava sempre settimo, però una volta ha vinto e sul podio ha pianto e io non la smettevo di saltare su e giù è di dire ‘sìììì’.
Valentino era un bambino prodigio, che volava in 125 e festeggiava come un pazzo con gli amici a bordo pista e le 500 mi annoiavano perché tanto vinceva sempre Mick Doohan.
Non so se mi divertivo di più a guardar le pieghe o le interviste, o forse più di tutto mi piaceva essere considerata una femmina complice, almeno per questo, invece che una femmina rompiballe. Fatto sta che abbiamo cambiato diverse case e diversi divani, Nico Cereghini ha ceduto la lavagna e il pennarello e ha messo su un bel po’ di capelli bianchi, Valentino è diventato il campione dei campioni e in mezzo ho fatto il tifo per un sacco di altri personaggi, storpiando i nomi e immaginando le vite e i pensieri dietro i caschi e in giro per il paddock. Quando abbiamo avuto il nostro incidente ero ancora per terra accanto alla moto quando ho borbottato ‘ci vorrebbe il dottor Costa’. E quella domenica che c’era Laguna Seca e mi sono dileguata da una cena di lavoro per guardarla in una camera d’albergo, Lui, quando gli ho telefonato dicendogli ‘hai visto Ben Bostrom?’, che era in testa alla grande, è rimasto un po’ interdetto e poi ha riso come un matto al pensiero che ero scappata in camera, con la mia cena di lavoro in corso, per guardarmi il cavatappi.



E adesso viene il difficile, perché secondo una certa accezione di razionalità quello che sto per dire forse non ha senso. Eppure la voce di Guido Meda incrinata di pianto mi è rimasta dentro come carta vetrata, e sono molto triste al pensiero che Sic non correrà più. Almeno non qui da noi.
 

5 commenti:

  1. Ero anch'io lì davanti allo schermo, pur non essendo un grande appassionato di motociclette e 10 HP,  dai tempi di Kenny Roberts e Freddie Spencer. C'ero anch'io, dicevo. Non capisco niente di moto, ma di traumi sì, e quando ho visto quel casco rotolare come impazzito - ancor prima dell'agghiacciante inquadratura dall'alto - mi è venuto da piangere. Come per Gilles Villeneuve, quando volò fuori dall'abitacolo per schiantarsi contro le reti di Zolder - il viso cianotico, frattura delle vertebre cervicali. Non riuscirò mai ad abituarmi all'idea che anche un ragazzo possa morire...

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  2. Sì, è terribile. Ed è impossibile abituarsi, immagino, anche per chi, come te, di traumi se ne intende...
    Io ho sperato, fino alla fine, che questo ragazzo che  ha iniziato fin da bambino a superare i limiti potesse superare anche questo, ma non è stato così e non resta che ricordarlo, con l'affetto di uno spettatore, che è pur sempre una forma di affetto.

    Prish

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  3. Dovrebbe esserci una specie di certificato di garanzia quando si nasce., per i ragazzi e i bambini. Mi tornano in mente tanti, anche se non correvano contro il vento. Ricordo Maria Virginia, che voleva fare la ballerina. Tristezza, grande tristezza. Va beh......vado....vado....

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  4. Ops....mi sono dimenticata della "firma".
    Ciao
    PuntoG

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  5. ecco sì, magari con la possibilità di una bella estensione ...

    buona giornata, cara puntoG

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