martedì 1 novembre 2011

Occuparsi di occupazione


Ascoltando i dibattiti e leggendo i commenti alle cosiddette misure per lo sviluppo, c'e un aspetto in particolare che mi sollecita un gran fastidio. E' dunque con manifesto intento provocatorio, e anche un po' polemico, che affermo: sarebbe ora di smetterla di prendere a riferimento il tasso di occupazione come indice del benessere di un paese, o di un qualsivoglia sistema sociale, e di considerare così rilevante, nel valutare un'azione, o una misura, o un operatore economico,  il fatto che 'produca lavoro'.


Provo a spiegarmi: la quantità di occupazione non é, a mio avviso, un indicatore significativo: credo che abbia molto più senso, per identificare la capacità di un sistema sociale di produrre ricchezza (nei suoi diversi risvolti) fare riferimento, piuttosto, alla qualità dell'occupazione.
Mi sembra piuttosto evidente, infatti, che una società ricca é una società in cui il lavoro delle persone serve a produrre beni e servizi utili e ben fatti. Se il lavoro delle persone é ben fatto e i prodotti del lavoro sono utili possiamo dire che la qualità dell'occupazione é alta. Se  la qualità dell'occupazione é bassa significa invece che c'è una quota troppo elevata di lavoro mal fatto o inutile.
Ma non parliamo mai di questo: parliamo di quante persone lavorano, non di quali persone lavorano, di come lavorano e di perchè lavorano. Come mai? Forse perchè ci siamo abituati a pensare che il lavoro abbia un valore in sè, ma é un grosso inganno. Quello che conta non é il lavoro, ma ciò che il lavoro produce. La frase 'produrre lavoro', a  pensarci un attimo, non ha alcun senso. Produrre lavoro per produrre cosa?
Siamo certi di saperlo? E siamo certi che la risposta ci piaccia?

14 commenti:

  1. Giusto.
    Però "lavoro" significa anche "fonte di redditto", cosa indispensabile per ogni famiglia (a parte quelle che hanno la rendita...).
    O ci può essere redditto senza lavoro? Alcuni parlano di "reddito minimo garantito", ma non mi pare una soluzione senza problemi (economico-sociali, di giustizia, antropologici...). C'è da discuterne.
    Ti saluto!

    RispondiElimina
  2. Ciao Gino.
    Sì, certo, c'è da discuterne, e, fuor di provocazione, l'argomento è tutt'altro che semplice.

    Due spunti di riflessione, riguardo a quello che dici:

    - anche dare un reddito in cambio di un lavoro inutile o mal fatto ha un costo sociale non indifferente, e forse non siamo abituati a calcolarlo per intero

    - se adottiamo una prospettiva storica e consideriamo l'intera storia dell'uomo, ci accorgiamo che far coincidere il concetto di lavoro con il concetto di reddito è un'abitudine piuttosto recente. e forse non così duratura, nè utile per evolvere.  Forse.

    un saluto, a presto!


    RispondiElimina
  3. Considerazioni giustissime, Prish, che hanno il merito di alzare lo sguardo oltre i problemi contingenti. Perché si lavora? I motivi sono tanti, non unicamente per il guadagno. Lavorare risponde ad esempio al nostro bisogno di socializzare. E' riduttivo soffermarsi sempre sul tasso di occupazione (senza peraltro tener conto di un elevato numero oscuro di disoccupati che il lavoro neanche lo cercano più). Bisognerebbe invece concentrarsi anche sull'aspetto qualitativo: come lavora chi lavora, in quali condizioni, quali emozioni si porta dentro? E poi, appunto: produrre lavoro per produrre cosa, per chi? E se il lavoratore smette di essere anche consumatore dei propri prodotti?

    Da scriverci su un manuale di Sociologia o di Psicologia del Lavoro...

    Pim

    RispondiElimina
  4. Proprio così Pim, sarebbe da scriverci un  manuale... se non fosse che ho molte più domande che risposte, a questo riguardo.
    Ad esempio, per dirne una: quello che fa una mamma che alleva tre figli, cucina, pulisce, fa la spola fra piscina, calcio e dentista, stira le camicie ecc ecc ecc e, in senso letterale, non produce un reddito, non è considerabile 'lavoro'?
    tanto per mettere altra carne al fuoco, ecco....

    buon MERCOLEDi' ;-)

    prish

    RispondiElimina
  5. Il lavoro della mamma, della casalinga, richiedono una marea di competenze, comprese quelle economiche e manageriali. Non vengono retribuiti (nonostante in tempi passati qualche politico l'avesse proposto) perché (non dovrei dirlo io) siamo in una società veteromaschilista, eppure continuano ad essere il fondamento della nostra economia. Per tornare alla domanda del tuo post: questi sono lavori che producono, altro che speculazioni finanziarie...
    "Ho dato tre figli alla Patria", dice tra il serio e il faceto una mia amica, "e la Patria mi riconosce una pensione da miseria". Non ha tutti i torti. Te lo vedi Marchionne in ginocchio che toglie il calcare dalla doccia (ah, signora mia...) o che cambia il pannolino al pupo? Oppure che si occupa (ulteriore questione, gigantesca) del nonno con l'Alzheimer?
    (Il volontariato: ecco un altro lavoro che produce tantissimo...)

    RispondiElimina
  6. Marchionne che toglie il calcare dalla doccia è un immagine che mi regalerà buonumore fino a sera!!

    Ma a parte le rivendicazioni psaudo femministe quello che voglio dire è che non è vero che il concetto di lavoro coincide col concetto di stipendio. E vale anche al contrario, ci sono stipendi che vengono pagati senza che in cambio ci sia un vero lavoro. Quindi se vogliamo fare proposte 'evolutive' sul piano sociale, dovremmo smetterla di considerare le parole lavoro e stipendio come sinonimi, più che pensare di dare uno stipendio alle casalinghe (o ai casalinghi) o pensare che bisogna per forza dare un lavoro a tutti, qualsiasi e anche se non serve,  altrimenti qualcuno rimane senza stipendio. ...

    RispondiElimina
  7. Le tue osservazioni sono bellissime, molto interessanti e mettono in evidenza temi fondamentali per la vita sociale, di ogni temo, in ogni cultura ed anche oggi nella nostra società.
    Provo a mettere in fila alcune domande alle quali forse dovremmo dare una risposta più vera e forse anche più attuale, superando schemi che forse erano “moderni” decenni (o secoli) fa ma che secondo me meritano di essere rimeditati e attualizzati senza pregiudizi.


    Cosa si intende per “lavoro”?

    Come è ripartito il lavoro nella società?

    Come è riconosciuto dalla società il lavoro o comunque l’apporto socialmente utile dei suoi componenti?

    Quali sono i meccanismi per il riconoscimento dei “parassiti” di coloro cioè che di fatto “campano” sul lavoro altrui o comunque non forniscono alcun apporto utile alla collettività?

    Quanto la nostra stessa società è essa stessa “parassita”?

    Come si possono inserire questi temi in un confronto globale (oggi attuale ma in realtà sempre esistito) con altri paesi, altre culture e realtà economico-sociali?

    Quali sono i meccanismi e i rapporti di forza che incidono sulle possibilità di una concreta e corretta valutazione di questi fondamentali aspetti della vita sociale?

    Quale tipo di cultura dovrebbe essere promossa per migliorare?

    Sono temi sui quali si potrebbero sicuramente scrivere non uno ma moltissimi trattati e forse il fatto che questi argomenti, sociali e politici nel senso vero del termine,  non sono, o non sono sufficientemente, affrontati e dibattuti è una “mancanza grave” nostra (perché no: di tutti e di ognuno) e particolarmente di coloro che si pongono per loro scelta in condizioni di determinare le regole e il funzionamento di quella complessa organizzazione che è la nostra società.
    Grazie quindi per avere “provocato” chi ti legge.
    Lasciami dire: ce ne fossero come te che si pongono domande “vere” e cercano di ragionare e capire! 

    RispondiElimina
  8. Perdonatemi, ma data la situazione queste riflessioni invece che tanto profonde mi paiono molto snob e lontane ad esempio dalla realtà di una percentuale elevata della popolazione quale sono gli operai.
    Quando il lavoro non c'è, non c'è fonte di sostentamento; questo banale paradigma vale per la maggior parte dei cittadini.
    Pertanto quando i dati dicono che manca lavoro, allora vuole dire che è a rischio il sostentamento di qualche persona e/o famiglia; pertanto tasso di disoccupazione elevato --> rischio di sostentamento/incremento di persone che vivono sotto la soglia di povertà.
    Questo non significa che non valga la connessione qualità del lavoro --> benessere; ma siamo su tutt'altro piano.
    Sarà interessante vedere cosa esce dal sondaggio di Cameron.

    RispondiElimina
  9. #7 bene, direi che a far domande siamo bravissimi! vedremo se saremo altrettanto bravi a ipotizzare qualche risposta... ;-)

    grazie e a presto

    prishilla

    RispondiElimina
  10. #8 può darsi che queste riflessioni siano lontane da certe realtà, e forse anche non sufficientemente approfondite. però credo che allo stato attuale della nostra società sia più utile, per garantire un sostentamento dignitoso a tutti, pensare a come ottimizzare il lavoro e a renderlo più produttivo per la società intera piuttosto che pensare, come mi sembra che spesso accada, a trovare situazioni di lavoro 'fittizie' ... vorrei solo che il campo della riflessione e della ricerca di soluzioni si ampliasse rispetto a strade già percorse che non si sono rivelate efficaci. tutto qui, sbaglio?

    un saluto e grazie per il tuo intervento

    prishilla

    RispondiElimina
  11. [Continua da sopra...]

    L’urgenza dei problemi concreti, che rendono necessari interventi immediati e importanti, non può e non deve esimere dal chiedersi quale sia la direzione in cui è opportuno agire, anzi, rende ancora più attuale e pressante l’esigenza di fondare le scelte non solo su esigenze contingenti ma su principi precisi ai quali si vuole orientare l’evoluzione, immediata e meno, della società in cui vivremo, noi i nostri figli e i nostri nipoti.
    Nell’immediato le decisioni  saranno prese da coloro che abbiamo scelto (?) per governarci, ma qualche influenza può averla anche la voce di chi si sforza di “dire la sua”. E, comunque, anche se per l’immediato potrebbe essere tardi ,l’approfondire questi aspetti per “farsi un’idea” e per capire in quale direzione e perché vorremmo orientare il nostro futuro potrà aiutarci ad essere pronti domani a formulare giudizi non superficiali, a fare scelte (anche solo di voto) più consapevoli,  e magari ad indurci ad un impegno concreto per cercare di migliorare le cose.
    Se queste considerazioni sono “snob” non lo so, di certo so che il progresso non può, non deve e non è mai stato frutto del banale adattamento al contingente ma ha trovato e deve trovare origine nella capacità dell’uomo di pensare e ragionare.
    Quanto al sondaggio di Cameron non solo spero ma credo che a vincere non sarà “il possesso del telefonino più nuovo”, ma se avessi torto e vincessero i telefonini mi sentirei ancora più convinto dell’estrema urgenza di fare, proporre e diffondere riflessioni più approfondite.

    RispondiElimina
  12. Da 7 - Scusa Priscilla se mi intrometto ancora ma vorrei rispondere a “8” per dire che mi sembra un tantino miope accantonare come “snob” e “lontane dalla realtà” riflessioni che, al contrario cercano di individuare i motivi dello sfascio di una società che evidentemente non sa rispondere adeguatamente ai bisogni delle persone che la compongono,di  tutti: operai, impiegati frustrati da lavori inutili, casalinghe, giovani che faticano a vedere il senso del loro futuro, persone che corrono continuamente ma  il cui impegno è sempre più stressante e spesso frustrante.
    E ciononostante “non arrivano al 27”.
    Per questo concordo con Priscilla nel dire che il lavoro inutile è solo spreco, che il lavoro malfatto (ma che potrebbe essere utile se organizzato meglio e svolto con il dovuto impegno) porta ad impoverire tutti e che su questi temi è doveroso interrogarsi a fondo.
    Cosa si può risparmiare eliminando i “lavori” inutili? E come utilizzare queste risorse?
    E’ preferibile  una grande famiglia in cui tutti “vanno a lavorare” al solo scopo di “avere uno stipendio”, ma di mala voglia, per fare cose inutili con nessuna soddisfazione né professionale né sociale e per guadagni miseri, col risultato di deteriorare i rapporti famigliari e umani, di trascurare l’educazione dei figli e la cura degli anziani e, in pratica, per fare una vita da cani (magari con il telefonino nuovo, ma a quale prezzo?) o non sarebbe meglio che a lavorare (nel senso di fabbrica, ufficio e simili) andasse solo chi serve per fare  cose utili e che quanto viene risparmiato (minori costi e più efficienza)  venga destinato a dare un doveroso riconoscimento sociale ed economico  a quel lavoro - vero e importante - di chi si occupa dell’organizzazione della famiglia, dell’educazione dei giovani, del sostegno agli anziani e di altri aspetti della vita sociale non produttivi di “beni e servizi vendibili” ma capaci di diminuire le esigenze di spesa della collettività  e, soprattutto, di migliorare la qualità del vivere di tutti?
    Nella scala di importanza delle “necessità della vita moderna” quanto è realmente vero e utile per una vita migliore e quanto è invece frutto di condizionamenti meramente consumistici imposti da chi vuol vendere ad ogni costo per fare affari?
    Mi sembra sia sotto gli occhi di tutti che negli ultimi decenni la società in cui viviamo è profondamente cambiata, per certi aspetti in meglio (tecnica comunicazioni, disponibilità complessiva di risorse ecc.) ma per altri in peggio (situazione sociale, differenza tra poveri e ricchi - quanti hanno il coraggio di guardare “più in basso” per riflettere e non solo “più in alto” per volere od invidiare -, educazione umana e civile, conflitti o difficoltà dovuti a movimenti migratori, ecc.).
    Perché questa progressiva divaricazione tra una crescita tecnologica e scientifica ed un peggioramento dei rapporti umani e sociali? Forse, e secondo me è così, le difficoltà in cui si dibattono oggi le nostre società così dette “avanzate” sono anche il frutto di scelte (o di “non scelte”) sugli argomenti di fondo del rapporto individui/società e sul tipo di organizzazione sociale al quale è meglio ispirarsi.

    RispondiElimina
  13. E siete davvero convinti che la soddisfazione del vivere, lo stare bene al mondo, sia in primis legato ad una più alta qualità dell'occupazione? Pensate che questo sia il punto numero uno?
    E come la misuriamo la qualità dell'occupazione? Sull'umore delle persone?
    E' come quando si va a cena al ristorante e ci si può permettere di mangiare un piatto che ci soddisfa più di un altro, del quale sentiamo maggiormente il desiderio, che pensiamo essere il meglio per noi in quel momento; mentre una buona fetta della popolazione non solo non può permettersi di andare al ristorante, ma nemmeno di comprare la carne una volta alla settimana per cucinarsela a casa.
    Per la persona singola "il lavoro ha un valore in sè" e questo lo si capisce bene solo quando lo si perde; provare per credere, ma non ve lo auguro. E il lavoro, avercelo innanzi tutto, è un elemento fondamentale delle dignità.
    Non capisco nemmeno perchè il "produrre lavoro" sia necessariamente legato a visioni di incremento di inutilità o di attività fittizie; addiritura slegato dal "produrre qualcosa".
    Siamo tutti d'accordo che il lavoro malfatto è uno spreco sempre, anche quando una casalinga tenta di spurgare lo scarico del bagno;  ma questo è un tema di organizzazione del lavoro che va visto e giudicato sulla piccola scala non sulla grande, a mio parere. E quale indicatore proponete per valutare se l'organizzazione del lavoro del nostro paese è buona? Se siamo efficienti (ammesso che siamo efficaci)?

    RispondiElimina
  14. Ciao 7 e ciao 8 (ma questi nickname li conserverete anche per il futuro? :-)).
    Ci sono una serie di elementi, di questa discussione che intendo precisare in un paio di prossimi post, ai quali, pertanto, rinvio. Mi sono infatti resa conto di non essermi spiegata molto chiaramente su alcuni punti.
    Una cosa però intendo sottolineare già da qui. Seppure d'accordo anche con l'interpretazione che Pim e 7 ne hanno dato, quando parlavo della 'qualità del lavoro', non mi riferivo alla qualità dell'organizzazione o del posto di lavoro, bensì alla qualità del lavoro svolto degli individui. C'è chi lavora bene e chi lavora male (perdonatemi la scarna semplificazione): e non trovo giusto (ma sarebbe il meno) nè utile (e questo mi interessa ben di più) che lavorare bene o male sia, in certo contesti, sostanzialmente indifferente.

    prish

    RispondiElimina